La Fortificazione di Porto Longone
STORIA > FORTIFICAZIONI MILITARI
IL DISAPPUNTO DEL GRANDUCA DI TOSCANA
PER LA FORTIFICAZIONE SPAGNOLA DI PORTO LONGONE
Riccardo Caimmi
Situato sulla costa sud dell’Isola d’Elba, il paese di Porto Azzurro assunse questo nome nel 1947, per non essere identificato con il penitenziario di Longone, ancor oggi situato nell’antico forte di San Giacomo, fatto edificare dagli Spagnoli all’inizio del XVII secolo. Agli albori del Seicento il potente re di Spagna Filippo II esercitava infatti, sull’Italia, una supremazia alla quale si sottraevano solo lo Stato della Chiesa, la Repubblica di Venezia e, con un certo grado di ambiguità, il Ducato di Savoia. Gli Stati di Milano, Napoli e la Sicilia erano sotto diretto controllo spagnolo. A quel tempo la maggior parte dell’Isola d’Elba apparteneva però al Principato di Piombino, sin dal 1399 governato dalla famiglia d’Appiano, sotto il cui dominio, attraverso varie vicende politiche, rimase sino all’estinzione del ramo principale, nel 1634. Una porzione dell’Isola era però soggetta al granduca di Toscana, poiché nel 1548 l’imperatore Carlo V aveva concesso a Cosimo I de’ Medici di fortificare e mantenere una forte posizione nel Golfo di Ferraja, per meglio difendere l’Elba dalle incursioni turco-barbaresche.

Il fallimento di ogni tentativo mediceo per ottenere il feudo imperiale di Piombino (elevato a Principato nel 1594), cui afferiva l’Isola d’Elba, aveva indotto il terzo granduca di Toscana ad adottare una politica più autonoma, volta a contenere la forte influenza ispano-imperiale sul Granducato: Ferdinando I de’ Medici si accostò dunque alla Francia di re Enrico IV, e nel 1600 concesse in sposa al monarca francese la figlia Maria, con gran disappunto di re Filippo II di Spagna. Stante la tradizionale rivalità tra i diversi potentati della penisola, Gianandrea Doria, capo della Repubblica genovese e fautore di una linea politica filo-spagnola, invidioso del crescente successo del porto di Livorno, cercò d’indurre Filippo II a dichiarare guerra alla Toscana, ma fallì nel suo intento. Doria, sostenuto dal Governatore di Milano Pedro Enriquez Acevedo, conte di Fuentes, riuscì però a convincere il successore, Filippo III, ad autorizzare la costruzione di una piazzaforte spagnola all’Isola d’Elba: le clausole del Trattato di Firenze del 1557, infatti, stabilivano che la Spagna cedesse Siena al duca di Firenze, Cosimo I, e assumesse il controllo dei territori costieri di Talamone, Orbetello, Ansedonia, Porto Ercole e Porto Santo Stefano, riservandosi la facoltà di fortificare una o più parti dell’Isola d’Elba. Nel 1603 iniziarono dunque i lavori per la creazione di un imponente fortilizio posto a dominio del Golfo di Mola e del paese di Longone. L’8 maggio 1603 giunse dal vicereame di Napoli, per ordine del re di Spagna, una formazione navale costituita da galere, vascelli e bastimenti da trasporto, agli ordini del marchese Santa Croce, generale delle galere di Napoli e di Don Garcia di Toledo: dalle navi, che trasportavano anche materiali e provvigioni, presero terra guastatori, muratori, e un cospicuo numero di soldati. Nel contempo gli Spagnoli rafforzavano la loro presenza a Piombino, territorio soggetto al Principe d’Appiano, da loro controllato. Una volta informato, il granduca di Toscana, che in quei giorni focalizzava la sua attenzione sulle contese tra il duca Cesare di Modena e la Repubblica di Lucca in “Carfignana” (cd. Guerra di Garfagnana del 1602-1603), inoltrò le proprie rimostranze alla Corte di Madrid e a quella Imperiale germanica, contando sul fatto che quest’ultima nutriva verso il granduca riconoscenza perché, nel 1594, aveva inviato in soccorso dell’arciduca d’Austria, impegnato nella guerra contro i Turchi, duemila fanti e quattrocento cavalieri. Poiché l’iniziativa spagnola aveva reso inquieti anche i principi italiani, il re di Spagna rese noto per via diplomatica che l’iniziativa, da ascrivere al viceré di Napoli, era solo volta a meglio contrastare l’accesso al Canale di Piombino dei Turchi e dei Barbareschi. Ferdinando I, ben informato dal segretario granducale Lorenzo Usimbardi, sapeva, però, che ciò non era del tutto vero: i dispacci indirizzati alla Segreteria di Stato da Cosimo Acciajoli, agente toscano a Napoli dal 1603 al 1605, non lasciavano infatti dubbi sul fatto che Napoli e Madrid condividevano la decisione di erigere la fortezza. Le missive evidenziavano inoltre la prevenzione del duca di Lerma, nelle cui mani il sovrano spagnolo aveva posto le redini del comando, nei confronti di Ferdinando de’ Medici. Le proteste del granduca, rese note ai governi delle principali nazioni, ebbero l’effetto di far rallentare i lavori di fortificazione, che furono quasi del tutto interrotti: ciò sembrò tranquillizzare Ferdinando I, ma allorché il governatore di Portoferraio Giovan Francesco Fucci lo informò che la costruzione della piazzaforte era ripresa con vigore, egli non poté che rinnovare le proprie doglianze. Perché gli Spagnoli tornarono sulla loro decisione conferendo nuovo impulso ai lavori di fortificazione? Essenzialmente perché nel 1603 essi nutrivano il grave sospetto che stesse per formarsi una lega tra il Papa, il Regno di Francia, la Repubblica di Venezia e il Granducato di Toscana. In realtà, come rappresentato dal granduca alla Repubblica di Venezia, il re di Francia Enrico IV, ponendo fine alla guerra franco-savoiarda con il Trattato di Lione del 1601, aveva commesso il grave errore di lasciare il Marchesato di Saluzzo al duca di Savoia, escludendosi dall’Italia, sì che “più non vi era chi potesse tenere a freno gli Spagnoli”.

Il disappunto manifestato da Ferdinando I de’ Medici ottenne dunque il solo effetto di ricevere da Madrid la risposta che i lavori erano ripresi per iniziativa del viceré di Napoli Juan Alonso Pimentel de Herrera, nonché una generica rassicurazione che le fortificazioni non sarebbero state utilizzate a danno del Granducato. In realtà, a prescindere dalla possibile formazione di una lega tra i principi italiani e il re di Francia, l’erezione della piazzaforte spagnola di Longone rispondeva anche ad obiettivi diversi da quelli dichiarati: doveva completare la cintura difensiva costituita dallo Stato dei Presidi, al fine di prevenire un tentativo d’invasione francese del Regno di Napoli, controbilanciare le imponenti difese di Cosmopoli (l’odierna Portoferraio), limitare il successo del porto di Livorno, che la politica granducale aveva aperto agli ebrei e alle potenze protestanti e proteggere il naviglio destinato a contrastare i bertoni inglesi e fiamminghi, che, nel Mediterraneo, alternavano i traffici commerciali alla pirateria. Quanto all’insicurezza sui mari, sempre maggiore nei primi due decenni del XVII secolo, è bene ricordare come gli Spagnoli, e in particolare i Vicereami di Napoli e di Sicilia, non fossero, al riguardo, privi di colpe, dato che sovente le loro navi, al fine di predare i mercantili, non mancavano di ricorrere alle astuzie proprie dei corsari, quali l’utilizzo di differenti bandiere: Bernardino de’ Cardenas, viceré di Sicilia dal 1598 al 1601, giunse persino a organizzare una “guerra di corsa” personale. Interessata alla sicurezza dei commerci e alla libera disponibilità delle rotte marittime, la Repubblica di Venezia seguì gli eventi relativi a Longone per mezzo del proprio rappresentante diplomatico a Firenze. Dell’iniziale evolversi della situazione si occupò dapprima, in modo marginale, il residente veneziano a Firenze Marco Ottobon: è interessante notare come egli riportasse, nel suo dispaccio del 18 marzo 1603 indirizzato al Serenissimo Principe (il Doge), che il Viceré di Napoli si era recato all’Isola d’Elba, dove trovò le galee di Napoli che avevano condotto la fanteria a Piombino. Probabilmente si trattò di un sopralluogo, prima di avviare il piano per costruire la fortezza di Longone, dove le truppe spagnole erano già presenti. Con il medesimo approccio di Ottobon seguì gli eventi Giacomo Vico, che lo avvicendò nel novembre 1603 e fu sostituito, alla fine del 1605, da Roberto Lio. A sua volta, dal 1596 al 1618, il granduca si avvalse, quale suo residente a Venezia, del conte Asdrubale di Montauto. i cui dispacci, nelle parti in cui si riferivano alla politica degli Spagnoli e del Pontefice, erano spesso cifrati utilizzando un codice alfanumerico. Tra il 1606 e il 1607 la Repubblica di Venezia, tradizionalmente guardinga verso la politica degli Spagnoli, si dichiarò poco soddisfatta del granduca, in quanto nella sua contesa giurisdizionale con il Papa (la cd. Crisi dell’Interdetto) egli si era dimostrato più vicino al Pontefice che alla Repubblica. I rapporti tra i due Stati, negli anni seguenti, tornarono ad essere cordiali, anche se la Repubblica non avrebbe voluto che il granduca inviasse le galere dell’Ordine di Santo Stefano in Levante “per maggiormente urtare i Turchi a muover guerra ai cristiani”. La costruzione del forte San Giacomo a Porto Longone terminò nel 1605: il modello della fortezza, ispirato alle cittadelle di Torino e di Anversa progettate dall’ingegnere italiano Francesco Paciotto, si deve a don Garcia di Toledo. La piazzaforte presenta una pianta pentagonale di forma irregolare, dotata di cinque bastioni con scarpa collegati tra loro: dotata di una piazza d’armi, chiesa, caserme, armerie, polveriere e cinta da fossati, dimostrò di poter accogliere una consistente guarnigione. Ancora nel 1605 e l’anno seguente, a lavori pressoché ultimati, l’ambasciatore di Spagna seguitò a ricevere le doglianze del granduca di Toscana. Un riavvicinamento alla Spagna si ebbe, però, proprio quell’anno, quando Ferdinando I ricevette la sospirata investitura di Siena. Il matrimonio del suo primogenito Cosimo II con con Maria Maddalena d’Austria, sorella di Margherita, regina di Spagna, sancì il suo riallineamento. Ferdinando I morì a Firenze il 3 febbraio 1609, senza essere riuscito nell’intento di evitare, o quantomeno sospendere, l’erezione della fortezza spagnola di Longone che, dal 1678, fu anzi affiancata, all’estremità opposta dell’insenatura, dal forte Focardo.

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