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il Milite Ignoto

STORIA > CIMITERI DI GUERRA
Il Milite Ignoto (o Soldato Ignoto) è un militare italiano caduto al fronte durante la prima guerra mondiale e sepolto a Roma sotto la statua della dea Roma all'Altare della Patria al Vittoriano. La sua identità resta ignota poiché il corpo fu scelto tra quello di caduti privi di elementi che potessero permettere il riconoscimento.

La tomba del Milite Ignoto rappresenta simbolicamente tutti i caduti e i dispersi in guerra italiani; è scenario di cerimonie ufficiali che si svolgono annualmente in occasione di festività civili durante le quali il Presidente della Repubblica Italiana e le massime cariche dello Stato rendono omaggio al sacello del Milite Ignoto con la deposizione di una corona d'alloro in ricordo ai caduti e ai dispersi italiani nelle guerre. Fu inaugurata solennemente il 4 novembre 1921 con la traslazione da Aquileia dei resti di un soldato, dopo un viaggio in treno speciale attraverso varie città italiane. Il lutto per le centinaia di migliaia di caduti fu legato alla retorica patriottica della celebrazione per il terzo anniversario della Vittoria. L'anno successivo, con l'assunzione del potere da parte di Benito Mussolini, il Milite Ignoto divenne uno dei simboli principali della retorica nazionalista del fascismo, nel tentativo di autoconferirsi i meriti della vittoria nella prima guerra mondiale. Con l'avvento della
Repubblica, il Milite Ignoto è pienamente diventato apolitico simbolo dell'unità e dell'identità nazionale italiana.[1]



Storia
L'idea di un monumento al Pantheon
Giulio Douhet

Il 17 luglio 1920 a Roma la "Garibaldi, Società dei Reduci delle patrie battaglie" e la "UNUS" (Unione Nazionale Ufficiali e Soldati) approvarono la proposta del colonnello Giulio Douhet per la sepoltura al Pantheon di un soldato non riconosciuto caduto durante la prima guerra mondiale.[2][3]

«Che la salma di un soldato italiano, che non si sia riusciti a identificare, rimasto ucciso in combattimento, sul campo, venga solennemente trasportata a Roma e collocata al Pantheon — simbolo della grandezza di tutti i soldati d'Italia, segno della riconoscenza dell'Italia verso tutti i suoi figli, altare del sacro culto della Patria»
(Proposta approvata il 17 luglio 1920[2])

Durante la guerra Douhet aveva avuto forti contrasti con Luigi Cadorna e gli alti comandi militari; nel 1916 inviò ad alcuni ministri alcune note sulla situazione strategica e fu per questo condannato a un anno di fortezza, scontato nel Forte di Fenestrelle. Egli perciò intendeva la realizzazione della tomba del soldato ignoto come un simbolo della vittoria ottenuta malgrado l'incapacità dei dirigenti politici e militari.[4]

Nell'agosto del 1920 Douhet riprese la proposta su Il Dovere, rivista legata all'associazione "UNUS".

«Tutto sopportò e vinse il nostro soldato. Tutto. Dall'ingiuria gratuita dei politicanti e dei giornalastri che sin dal principio cominciarono a meravigliarsi del suo valore, quasi che gli italiani fossero dei pusillanimi, alla calunnia feroce diramata per il mondo a scarico di una terribile responsabilità. Tutto sopportò e tutto vinse, da solo, nonostante. Perciò al soldato bisogna conferire il sommo onore, quello cui nessuno dei suoi condottieri può aspirare neppure nei suoi più folli sogni di ambizione. Nel Pantheon deve trovare la sua degna tomba alla stessa altezza dei Re e del Genio.»
(Giulio Douhet, su Il Dovere, 24 agosto 1920)

Il riferimento alla «calunnia feroce» è da ricondurre al bollettino di guerra del 28 ottobre 1917 con cui si attribuiva la disfatta di Caporetto alla «mancata resistenza di reparti della 2.a Armata vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico».[5] Già nel 1919 Douhet aveva pubblicato su Il Dovere dure accuse contro Cadorna in occasione della commissione d'inchiesta su Caporetto;[6][7] all'epoca anche il militarista Il Popolo d'Italia aveva parlato in modo critico di «molte fucilazioni e poco rancio»[8] (alludendo alle esecuzioni sommarie e al ricorso alla decimazione) e delle «baionette dei carabinieri» (incaricati delle esecuzioni).[9]
La legge per la sepoltura all'Altare della Patria

Il progetto di legge per la «Sepoltura della salma di un soldato ignoto» fu presentato alla Camera dei deputati il 20 giugno 1921, pochi giorni prima delle dimissioni del quinto governo Giolitti. Fu presentato dal ministro della guerra Giulio Rodinò, insieme al presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell'interno Giovanni Giolitti e al ministro del tesoro Ivanoe Bonomi.[10] Giolitti si dimise il successivo 27 giugno a causa dell'esigua minoranza ottenuta in parlamento dopo le elezioni politiche svolte a maggio.

Il 28 giugno l'onorevole Cesare Maria De Vecchi fu il relatore alla Camera per la commissione "Esercito e Marina Militare", che aveva indicato come data della sepoltura il 4 novembre 1921 (terzo anniversario della fine della guerra) e come luogo l'Altare della Patria, «perché quivi il popolo potrà, meglio che altrove, in grandi pellegrinaggi rendere i più alti onori al morto che è tutti i morti, che è primo e supremo artefice della nuova storia».[11] Il Pantheon rimaneva perciò luogo destinato esclusivamente ai re d'Italia. Il 4 agosto era all'ordine del giorno la discussione della legge alla Camera, ma Luigi Gasparotto, ministro della guerra del nuovo governo Bonomi, chiese agli oratori di rinunciare a pronunciare discorsi e proseguire «senza abuso di parole», anche per evitare interventi antimilitaristi. La richiesta fu approvata.[12] Il 5 agosto si svolse la votazione a scrutinio segreto con 199 voti favorevoli e 35 contrari.[13]

Il disegno di legge fu presentato al Senato dal ministro Gasparotto il 6 agosto;[14] il senatore Pasquale Del Giudice fu relatore dell'Ufficio Centrale presieduto da Giuseppe Della Noce.[15] Il 10 agosto si svolse la discussione con interventi del generale Armando Diaz, del relatore Del Giudice, del senatore Antonio Fradeletto (per confermare la possibilità della sepoltura presso l'Altare della Patria) e del ministro Gasparotto.[16] La legge, approvata con votazione a scrutinio segreto il giorno stesso, fu firmata da Vittorio Emanuele III l'11 agosto e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 20 agosto.[17]

Successivamente con regio decreto del 28 ottobre fu dichiarato festivo il giorno 4 novembre 1921, «dedicato alla celebrazione delle onoranze al soldato ignoto»;[18] la festività del 4 novembre fu stabilita l'anno successivo come Giornata della Vittoria.[19] Il 4 novembre 1919, in prossimità delle elezioni politiche, si era svolta una celebrazione militare con distribuzione di medaglie;[20] il 4 novembre 1920 era stata inaugurata sull'Altare della Patria un'iscrizione con il bollettino della Vittoria ed erano state celebrate le diverse bandiere dei reparti che avevano partecipato al conflitto.[21]

Già il 20 agosto il Ministero della guerra, incaricato dell'esecuzione della legge appena approvata, diramò la circolare n. 25 che istituiva una commissione speciale, presieduta dal tenente generale Giuseppe Paolini, ispettore per le onoranze alle salme ai caduti di guerra. La commissione aveva l'incarico di individuare le salme di undici caduti al fronte, privi di qualsiasi segno di riconoscimento. Furono assegnati alla commissione anche il colonnello Vincenzo Paladini e il maggiore medico Nicola Fabrizi, entrambi già in servizio per le onoranze ai caduti. Per i sopralluoghi era presente anche monsignor Pietro Nani, in qualità di cappellano.[22] Al sindaco di Udine Luigi Spezzotti fu chiesto di indicare il nominativo di quattro ex combattenti (un ufficiale, un sottufficiale, un caporale e un soldato) come membri della commissione e altri quattro come supplenti dei primi. A fine settembre furono nominati come effettivi il tenente Augusto Tognasso di Milano (mutilato), il sergente Giuseppe De Carli di Tiezzo di Azzano Decimo (medaglia d'oro), il caporal maggiore Giuseppe Sartori di Zugliano (medaglia d'argento e medaglia di bronzo) e il soldato Massimo Moro di Lestizza (medaglia d'argento); come supplenti il colonnello Carlo Trivulzio di Udine (5 medaglie di bronzo), il sergente Ivanoe Vaccaroni di Udine (medaglia d'argento, due medaglie di bronzo e due croci di guerra), il caporal maggiore Luigi Marano di Pavia di Udine (medaglia d'argento) e il soldato Lodovico Duca di Pozzuolo del Friuli (medaglia di bronzo).[23]

A ottobre la commissione individuò le salme degli undici soldati in diverse località, cercando di includere luoghi del fronte italiano in cui avevano combattuto le diverse armi, compresa la Regia Marina. Alcune indicazioni sui luoghi esaminati furono fornite da Tognasso in una successiva pubblicazione.[24]

   Rovereto: non riuscendo a individuare caduti in sepolture provvisorie sul fronte, fu scelto un caduto ignoto da un vicino cimitero militare, probabilmente dove oggi sorge il Sacrario militare di Castel Dante.
   Massiccio del Pasubio: come nel caso precedente, fu necessario scegliere un caduto ignoto da un cimitero militare, forse il cimitero militare della Brigata Liguria.
   Monte Ortigara: furono rinvenuti un primo corpo che però aveva un foglietto con un possibile segno identificativo, un caduto austriaco e due caduti insepolti non identificabili; fu scelto uno degli ultimi due.
   Monte Grappa: sotto una croce fu rinvenuto un corpo non identificato.
   Conegliano: fu scelto un caduto ignoto da un vicino cimitero, forse in corrispondenza del sacrario del Montello.
   Cortellazzo-Caposile: fu scelto un caduto ignoto da un vicino cimitero militare (oggi non più esistente).
   Cortina d'Ampezzo: fu scelto un caduto ignoto da un cimitero militare, forse in corrispondenza del sacrario militare di Pocol.
   Monte Rombon: sotto una croce fu rinvenuto un corpo non identificato.
   Monte San Marco: sotto una croce fu rinvenuto un corpo non identificato.
   Castagnevizza: sotto una piramide di pietre furono rinvenute due salme di caduti non identificabili; fu scelta quella con maggiori ferite.
   Monte Ermada: sotto un elmetto fu rinvenuta una fossa comune con vari teschi; sotto una croce fu rinvenuto un corpo non identificato.

Secondo le istruzioni del ministero le undici bare, identiche per forma e per dimensioni, furono riunite nella basilica di Aquileia entro il 28 ottobre. Quel giorno, alle ore 11, alla presenza di rappresentanti delle istituzioni e di mutilati, di ex combattenti e di madri e di vedove di caduti fu designata la salma del Milite Ignoto da parte di una «madre di un caduto non riconosciuto ed in modo che la cassa prescelta non si sappia da quale zona del fronte provenga».[25] Fu Maria Maddalena Blasizza di Gradisca d'Isonzo a scegliere la bara. Il figlio Antonio Bergamas, ebreo triestino, era maestro comunale; nel 1914 disertò dall'esercito austroungarico e passò in Italia dove si arruolò volontario sotto falso nome, raggiungendo il fronte nel giugno 1915. Cadde il 18 giugno 1916 a Marcesina e fu decorato con medaglia d'argento al valore militare; fu sepolto in un cimitero poi bombardato, rendendo impossibile il riconoscimento del defunto.[26][27]

La bara prescelta fu inserita in una cassa speciale inviata dal ministero della guerra. Era una cassa in legno di quercia con decorazioni in metallo in ferro battuto, forgiato da scudi di trincea e sorretto da bombe a mano tipo SIPE. Sul coperchio erano fissati un elmetto, un fucile e una bandiera tricolore.[28]

Le altre dieci salme rimasero ad Aquileia per essere sepolte solennemente il 4 novembre nel cimitero della basilica.[25]


Il trasporto a Roma
Onoranze al passaggio del treno del Milite Ignoto

Sempre il 28 ottobre alla stazione di Aquileia la bara fu posta su un carro ferroviario con affusto di cannone, appositamente disegnato da Guido Cirilli.[29] Su un lato erano scritte le date mcmxv - mcmxviii; sul lato opposto era riportata la citazione dantesca l'ombra sva torna ch'era dipartita.[30]

Il treno speciale partì la mattina successiva alle ore 8. Oltre al carro con la bara erano presenti 15 carri per raccogliere le corone di fiori durante il tragitto; altre carrozze di prima e di seconda classe erano destinate alla scorta d'onore. Il treno fermava cinque minuti in ogni stazione sul percorso. Il Ministero della guerra ordinò il più rigoroso silenzio durante il passaggio del treno; erano vietati discorsi pubblici e all'arrivo del treno poteva essere eventualmente suonata una sola volta La canzone del Piave. Durante le fermate notturne intermedie (Venezia, Bologna, Arezzo) era predisposto il cambio alle rappresentanze di senatori, di deputati, di madri, di vedove, di mutilati e di ex combattenti.[25]

Per la trazione erano utilizzate due locomotive FS 740.[31] I macchinisti furono scelti tra i decorati di guerra; nel 1923 uno di loro, Felice Battistetti (insignito di una medaglia di bronzo), fu licenziato durante le epurazioni operate dal governo fascista, principalmente per aver partecipato ad alcuni scioperi, e il suo caso fu oggetto di discussione alla Camera.[32][33]

Le foto e i filmati del viaggio del treno mostrano ali di folla inginocchiarsi al passaggio del treno, lanci di fiori da parte di donne e bambini, il saluto militare da parte di rappresentanze delle forze armate e di ex combattenti e la benedizione della salma da parte di autorità religiose locali.[34][35] Fiori furono lanciati dal treno nelle acque del Piave,[36] celebrando i caduti ma dimenticando i soldati fucilati dal generale Andrea Graziani dopo Caporetto.[37]
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